Roots Highway (IT) - 2 June, 2017

di Gianuario Rivelli (02/06/2017)

La Statua della Libertà che si punta la pistola alla tempia è un'immagine potente, programmatica, disturbante. "Send me your tired and poor/ sick and sufferin'/ send them to me/ send them to me/Ellis Island is yours no more" ne è la didascalia eloquente. Yours No More, lamento gospel gonfio di disillusione, è il manifesto di Pretty Little Troubles, ennesima fatica discografica dello stakanovista Malcolm Holcombe (solo un anno è trascorso dal precedente Another Black Hole). Che la presidenza Trump con le sue linee programmatiche oscurantiste e votate alla chiusura potesse essere fucina di musica "di reazione" era una profezia fin troppo facile (successe alla grande anche nel corso dei due mandati del giovin Bush) e c'era da aspettarsi che il nostro non aspettasse altro per cavalcare le sue tematiche predilette, in questa fase particolarmente incandescenti. 

In tal senso va letta la dedica "ai sogni, al sudore e alle lacrime di tutti i profughi e i migranti" che, uscita dall'ugola di carta vetrata del vecchio ragazzo del sud, respinge ogni possibile accusa di retorica. D'altronde uno come lui, con il suo curriculum è al di sopra di ogni sospetto, operaio specializzato di un folk da sempre politico nel suo dare voce a coloro che uno spazio non lo avranno mai e se lo avranno sarà risicato e poco illuminato. E' il Malcolm che conosciamo: fronzoli e lustrini da evitare come la peste, look trasandato, basettoni e fingerpicking, voce cavernosa e disincanto. Un suo disco rimane sempre un viaggio affascinante, anche quando, come in questo caso, la qualità è un gradino sotto il suo livello migliore e nessun brano assurge al rango di indimenticabile. Beninteso, da qui non si butta via niente: non il blues che impreziosisce la splendida title track né l'andamento waitsiano con insolito uso degli archi di The Sky Stood Still, né il classico hillbilly di Good Ole Days, ironica e scatenata. 

Ascoltare le dita di Holcombe che pizzicano la chitarra è sempre un gran piacere (Outta Luck), con il supporto puntuale di una band mai invadente (su tutti il polistrumentista Darrell Scott, il bassista Dennis Crouch e Jared Tyler su vari strumenti a corda) che asseconda i suoi immancabili chiaroscuri da perdente al servizio dei perdenti (Rocky Ground e We Struggle). South Hampton Street è puro folk appalachiano con sfiziose suggestioni gitane sottotraccia, mentre il compito di deviare (lievemente) dal tema è affidato a The Eyes o'Josephine- ballata in salsa irlandese con tanto di cornamuse- e a Bury, England, quasi un divertissement solare se Holcombe ci concede l'utilizzo di due vocaboli che appaiono ai suoi antipodi. Pretty Little Troubles ci riconsegna un Malcolm Holcombe non certo al top assoluto, ma sempre duro e puro, tanto sdrucito e schivo quanto autentico. Uno di quei personaggi sempre e comunque necessari.